Lupi di fonte al mare


Lupi di fronte al mare è il racconto di una città depredata e dolente, Bari, ritratta con un magistrale affresco che narra di cupidigie e di solitudini.
Il capitano Bosdaves, militare ironico e disincantato, al comando di una compagnia di carabinieri, penetra nella coltre vischiosa di un intricato sistema di interessi e complicità, che lega la malavita e la politica alla sanità privata e agli ambienti finanziari, in un grumo denso e infetto.
Il presagio della tragedia, come un uccello rapace, incombe tra le pagine di un romanzo acre e vitale, attraversato da personaggi spietati e ingenui allo stesso tempo, divorati da un’avidità incontrollabile che consuma i loro destini.
La vicenda e il contesto vibrano di forza emblematica: Bari si mostra quale rappresentazione di un intero Paese, segnato da un malessere che, oltrepassando tempi e luoghi, svela la sua natura esistenziale.
Un romanzo sull’invincibile potere della corruzione, arginato dalla misteriosa costellazione dei sentimenti ma radicato come un’eterna condanna nello sperduto cuore degli uomini.


LUPI DI FRONTE AL MARE é nato come una sceneggiatura cinematografica, infatti più della metà del testo ha una forma dialogica (che prediligo anche per la mia pratica teatrale). Una curiosità: ho scritto il romanzo immaginando che ad interpretare i personaggi fossero: Fabrizio Bentivoglio (Bosdaves); Sergio Rubini (Spadaro); Laura Morante (Irene); Valentina Lodovini (Martina). Addirittura, descrivendo Spadaro, avevo davanti agli occhi una foto di Rubini (Capitolo 49, pag. 311 del testo editato).

Dal punto di vista letterario, non mancano gli argomenti per parlare di Bari: crocevia dei traffici con l’Est europeo (legali e illegali), ponte tra Oriente e Occidente (a Bari Carrassi c’è una chiesa russa!), territorio dilaniato dalla microcriminalità (nuove leve dalla pistola facile), interi quartieri dominati dalla malavita (Japigia e S. Paolo), infiltrazioni della Sacra Corona Unita.

Qualcuno ritiene che il romanzo di denuncia sociale dovrebbe colmare l’assenza del giornalismo d’inchiesta. Sia pure. Ma un romanzo non può essere valutato con le stesse modalità di un articolo di cronaca: se eliminiamo dalla narrazione la componente dell’immaginario, che cosa ci rimane?  Senza immaginazione, la realtà può solo essere descritta, ma non si può guardare oltre, non si possono conoscere i pensieri dei personaggi e quindi penetrare  nella loro rappresentazione delle cose, nella loro sofferenza. Inoltre,  io credo che, in un romanzo, la funzione di denuncia sociale e l’aspetto artistico siano compatibili. Dico di più: se le ingiustizie narrate in un libro sono potenti, necessariamente ritmo ed eleganza della scrittura devono essere all’altezza, altrimenti il risultato è scompensato. La più lucida analisi sociale, senza una scrittura luminosa, non può rivelarsi arte.

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