mercoledì 19 ottobre 2011

Intervista su Liberi di scrivere

Ciao Carlo. Grazie per aver accettato la mia intervista e benvenuto su Liberi di Scrivere. Raccontaci qualcosa di te. Chi è Carlo Mazza? Punti di forza e di debolezza.

Carlo Mazza è nato a Bari il 26 marzo 1956 e di professione fa il bancario, da più di trent’anni. E’ sposato e ha due figli ancora studenti. Ha svolto attività politica e ha fatto parte delle istituzioni (presidente della commissione cultura in un consiglio di circoscrizione di Bari). L’unico allontanamento da Bari è dipeso dal servizio militare: ufficiale di complemento (1977) dell’Esercito, destinato quale specialista di amministrazione presso la Legione Carabinieri di Bolzano. Chi sono? Un uomo dall’aria mite ma profondamente irrequieto, con i pensieri sempre in movimento, intento a studiare le parole e i gesti degli altri, desideroso di comunicare ed ispirato solo dalla meditazione solitaria e da un buon sigaro.

Raccontaci qualcosa del tuo background, dei tuoi studi, della tua infanzia.

Mio padre aveva un banco al mercato, vendeva mozzarelle. Io d’estate lo aiutavo. Ho fatto le scuole tecniche, sono ragioniere, in seguito mi sono laureato in Scienze Politiche (110 e lode), ma avrei voluto fare il professore di belle arti oppure lo scrittore.


Il desiderio di dedicarmi all’arte figurativa o alla scrittura mi è sempre rimasto nel cuore, ma Bari è città levantina, commerciale, gli artisti sono considerati con un vago sospetto. Da giovane sono stato quasi un anno tra i carabinieri, li ho osservati… ho giocato a pallone con ragazzotti prepotenti e li ho visti divenire boss spietati… ho praticato la politica e ho conosciuto qualche persona per bene ma anche una moltitudine di cialtroni… ho conosciuto docenti universitari scoraggiati e pessimisti ma con una rabbia indomita verso le iniquità (quanti valorosi De Marinis nelle Università del Sud!)… ho visto progressivamente scomparire la tensione verso il vero e verso la bellezza…

Sei del 56 quindi nella tua vita prima di scrivere hai fatto altro. Parlaci della tua vita precedente, il tarlo della scrittura era già presente o è una scoperta recente?

In passato ho svolto attività teatrale, coordinando gruppi di amatori, per puro piacere, senza alcun assillo di fama e celebrità. Ho scritto anche dei testi teatrali, di cui uno pubblicato dalla Ecumenica Editrice su iniziativa dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, un dramma sulla vita di santa Rita da Cascia, interpretata nella sua quotidianità (“Il silenzio e le rose”).

Parlaci del tuo esordio, come è andata?

Ho scritto, ho inviato la bozza ad alcune case editrici e una mi ha risposto. Tutto qui. Credo ci sia stata una decisiva coincidenza tra le caratteristiche del mio romanzo e ciò che cercava la e/o. Il mio libro ha inaugurato una nuova collana di testi di denuncia sociale, “Sabot/Age”. L’altro romanzo che esce assieme al mio è il coinvolgente “La ballata di Mila” di Matteo Strukul.

Lupi di fronte al mare, ospitato nella collana di Sabot/ age Edizioni E/O è il tuo romanzo d’esordio, un romanzo decisamente anomalo nel panorama letterario italiano. Quanto ti è costato scriverlo in termini di coinvolgimento e di impegno personale?

Non è stato semplice, il tempo è sempre poco. Per un certo periodo, ho letto con molto interesse libri e quotidiani, in modo da comprendere quali fossero i punti di snodo dei “meccanismi” della corruttibilità. Circa gli aspetti più tecnici, ho lavorato con scrupolo (per esempio, colloqui con un avvocato penalista per valutare reati e pene descritti nella trama, valutazioni da parte di un maggiore dei carabinieri circa alcune particolarità dell’ambiente militare, incontro con un’équipe di anatomopatologi per il capitolo 54 pagg. 349/351 del testo editato...). Un altro aspetto faticoso è stata la dicotomia nel modo di parlare delle persone, con un doppio registro tra l’eloquio pubblico, sempre formale e qualche volta addirittura aulico (i discorsi di Spadaro), e quello privato, rozzo e diretto, cartina di tornasole del vuoto pneumatico che caratterizza alcuni protagonisti.

Quali sono i tuoi maestri letterari, c’è uno scrittore in particolare a cui dedicheresti ipoteticamente il tuo libro?

Italo Svevo, con la sua “La coscienza di Zeno”, che diventa più attuale ogni anno che passa. E poi: Berto (“Il male oscuro”), Pavese (“La luna e i falò”), Joyce (“The dead”), Garcia Marquez (“L’amore ai tempi del colera”), Carver (i racconti di “Cattedrale”, che hanno ispirato l’Altman di “America oggi”). Tra gli italiani, leggo anche Sciascia e Ammaniti, poi Saviano e Carlotto. Per ispirarmi, qualche volta rifletto sui dialoghi di “Addio alle armi” di Hemingway.
Amo il cinema e ho scritto il romanzo come se scrivessi la sceneggiatura di un film e immaginando che ad interpretare i ruoli fossero: Fabrizio Bentivoglio (Bosdaves); Sergio Rubini (Spadaro); Laura Morante (Irene); Valentina Lodovini (Martina). Addirittura, descrivendo Spadaro, avevo davanti agli occhi una foto di Rubini (Capitolo 49, pag. 311 del romanzo).

Parli di sanità, un tema delicato. Mi viene subito in mente lo scandalo della sanità in Abruzzo, e il nome di Angelini. Quanto incide la cronaca di questi anni nel tuo romanzo?

Le storie di sanità sembrano riconducibili a innumerevoli casi concreti perché, nei loro passaggi fondamentali, si assomigliano un po’ tutte. Ma il mio è solo un romanzo, che tuttavia ha l’ambizione di restituire in modo credibile il clima di una città e, forse, la realtà di un intero Paese.


La tua Bari è davvero una città così noir? Parlaci delle sue bellezze dei suoi lati positivi.

Premesso che nel mio romanzo la città non fa da sfondo ma è la protagonista, credo che non ci sia una città più “noir” di Bari: crocevia dei traffici con l’Est europeo (legali e illegali), ponte tra Oriente e Occidente (abbiamo una Chiesa Russa!), territorio lacerato dalla microcriminalità (giovani leve dalla pistola facile), quartieri sottoposti al dominio della malavita, aspirazioni egemoniche della Sacra Corona Unita. La bellezza della città? E’ soprattutto nei suoi abitanti, espressione di un vertiginoso ossimoro, perché riuniscono cinismo e slanci, disincanto e passione. E poi c’è il mare, certo. Senza di esso Bari non avrebbe senso.

In ogni romanzo c’è sempre un filo conduttore, un’ idea da cui scaturiscono le altre. Per Lupi di fronte al mare quale ‘è ?

Ho incubato a lungo il romanzo, perché contiene un assunto fondamentale verso cui provo un istintivo pudore: la potenza dei sentimenti come forza che contrasta l’appiattimento del malaffare e il precipizio dei valori. Poi la visione di un film come “Le conseguenze dell’amore” (Paolo Sorrentino) mi ha incoraggiato. Il punto è questo: come si può combattere il malaffare? Con un modo diverso di fare politica? Con la giustizia? La mancata abolizione delle province ha chiarito definitivamente l’incapacità della politica di auto-riformarsi, in quanto alla via giudiziaria, qualche giorno fa il c.d. processo “Gomorra”, quello contro gli industriali del Nord che scaricavano il loro rifiuti tossici in Campania, è finito in prescrizione. Al dunque! Se il malaffare nasce dal desiderio di potere, in definitiva dalla vanità o dal narcisismo, ebbene non è arrivato il momento di scavare in questo desiderio di dominio, di comprenderlo appieno, nei suoi aspetti persino antropologici? Le passioni, evocate nel titolo dalla forza del mare, possono scardinare il sistema: nel romanzo, si pensi all’attrazione di Sansipersico per la badante romena; alla passione di Varechine per Maravenié, che porta l’uomo a ricercare l’amicizia di Cikkeciakke; alla determinazione con cui la giornalista Martina svolge le indagini, perché intende ottenere la stima e l’affetto del capitano…

Per concludere vorrei esprimerti la mia riconoscenza per la tua disponibilità. Potresti fare qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri?
Vorrei scrivere il secondo romanzo di un’ipotetica trilogia, con protagonista il capitano Bosdaves, con una trama ambientata a Bari ma di contenuto diverso: penso all’alluvione della Cava di Maso, uno dei più grandi disastri ecologici europei degli ultimi anni, avvenuto di fronte a casa mia.

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